INTERVISTA A TIZIANA: una voce autorevole dalla Scuola

Tiziana, ex insegnante, ora dirigente scolastico di un istituto comprensivo, è una donna che ha molteplici passioni. Tra queste c’è un binomio che oserei definire celestiale: libri e viaggi. Ha un blog meraviglioso sull’educazione ma, specifica, nel senso di lasciarsi educare dalla realtà, di coltivare la propria mente per poter crescere e comunicare.
Il nostro incontro non poteva che avvenire nel mondo virtuale e il fatto di aver scoperto molte amicizie in comune non mi ha sorpresa, viste le passioni condivise. La particolarità del nostro incontro invece è data dal momento in cui esso è avvenuto. Infatti, in Rete, stavamo affrontando un argomento molto caro a noi mamme viaggiatrici: i viaggi in età scolare. E, dall’altra parte della blogosfera, “la proffa” affrontava lo stesso argomento intervistando una mamma viaggiatrice che, nonostante abbia una figlia alle scuole medie e non possa concedersi ferie nei periodi canonici di chiusura della scuola, non ha voluto privare la sua famiglia della ricchezza dei viaggi. Un dibattito non è degno di questo nome se non riesce a coinvolgere tutti i protagonisti e a noi mancava proprio la voce della scuola ed è quindi con grande entusiasmo che ho proposto a Tiziana un’intervista sui generis. Come vedrete infatti è nato un dialogo che, personalmente, ho trovato davvero arricchente. Lei inoltre ha fornito a tutti i genitori-viaggiatori numerosi consigli su come preparare i bambini al viaggio e ha dato la sua opinione in merito alle assenze scolastiche e al modo migliore per gestirle (spiegando quando si possono fare, in che modo, come coinvolgere il docente,…). Di seguito l’intervista dialogata tra me e Tiziana con in blu le mie domande/considerazioni e in nero le sue risposte.

Partiamo dal nome che hai scelto per il tuo blog “Learning is experience”. Puoi spiegarci le ragioni che ti hanno portato a questa scelta?

Sì, certo. Nella mentalità comune, figlia di certezze pedagogiche ormai datate, si impara se si ascolta, se si legge, se si ripete. Queste sono operazioni importanti e utili, attenzione. Le neuroscienze hanno dimostrato che leggendo si impara un 30%, ascoltando un 50%, ma facendo si impara l’80% del messaggio che riceviamo. Per esempio, se uno studente ha la possibilità di realizzare un’iniziale miniata, il modello di un continente in pasta di sale o la riproduzione di una vetrata, difficilmente dimenticherà l’argomento così appreso, in quanto le nozioni saranno collegate alle azioni che egli ha svolto. Collegando l’apprendimento all’esperienza, sarà più facile imparare.
Anche nella vita, quante volte diciamo: se non si vive in prima persona una cosa non la si capisce veramente… Parallelamente lo stesso principio vale per l’apprendimento scolastico: c’è una componente intellettuale, che si acquisisce leggendo e ripetendo, ma la memoria e la comprensione sono senz’altro facilitate dall’uso di tutti i sensi e dall’impegno in prima persona.
E non è una questione di età.
Se alla scuola primaria ciò vorrà dire realizzare lavori creativi, manuali, man mano che si cresce l’approccio sarà più laboratoriale e poi via via progettuale. La logica dello stage e dell’alternanza scuola-lavoro che la recente riforma scolastica ha valorizzato va in questa direzione. Peccato che la lezione frontale continui a rimanere la formula prevalente nella didattica italiana. Da dirigente mi sono prefissa l’obiettivo di spingere in una direzione opposta, verso l’apprendimento hands on (mani in pasta. Ndr). Così gli americani definiscono la didattica laboratoriale. Nel mio blog trovate una sezione dedicata ad esso: Hands on learning o studiare con le mani.

Mentre leggo la tua risposta penso a mia figlia che a due anni e mezzo, nello Sri Lanka, si trovò di fronte ad un elefante e mi disse basita: “Mamma, ma è enorme!”. Il modellino plastificato che c’era a casa non rendeva giustizia alla sua stazza. Oppure alla storia del paguro che leggevamo e che abbiamo incontrato in una spiaggia in Thailandia (era proprio lui: il paguro Bernardo! :)). E il suo stupore di fronte all’Oceano Indiano: “Mamma ma è molto più grande di quello del mappamondo” e cercava l’altra sponda :). Le nostre lezioni di geografia non sono valse tanto quanto l’esperienza sul campo. Soprattutto i bambini hanno bisogno di vedere e toccare per comprendere, di collegare l’apprendimento all’esperienza diretta, di imparare facendo (learning by doing): è questa la chiave di volta per facilitare la comprensione. Lo evidenzia molto bene Papert nei suoi studi. Il suo modello educativo costruzionista (si impara meglio quando si è attivamente coinvolti nel costruire qualcosa) contrasta fortemente con quello “istruzionista”, in cui il docente parla e l’alunno riceve passivamente le informazioni. Quindi non posso che essere d’accordo con te e ringraziarti per aver esplicitato questo concetto in modo così chiaro citando anche ricerche scientifiche. È proprio per questa ragione che noi mamme viaggiatrici promuoviamo e consigliamo i viaggi con i bambini.

PaguroDisegno tratto dal diario di bordo di Angelica, 4 anni e mezzo.

A casa avevamo letto la storia del paguro Bernardo e lei mi aveva chiesto cos’era un paguro. In Thailandia abbiamo VISTO il paguro e inventato tante storie con lui protagonista.


Che cosa significa per te viaggiare? Ti senti più turista o viaggiatrice? E per quale ragione?

Questa domanda mi spinge a una riflessione. Cosa distingue un turista da un viaggiatore? Forse il turista è uno che cerca ciò che è risaputo e che cerca di mangiare italiano un po’ ovunque. Forse il turista è uno che prima di guardare fotografa o pubblica su Facebook il proprio selfie con un monumento sullo sfondo. Uno che preferisce il Museo delle cere di Madame Tussauds alla passeggiata nell’East London. Ecco, ciò che caratterizza il turista è la ricerca di luoghi ed eventi creati apposta per lui. Io cerco di conoscere il luogo che mi ospita. Lo studio prima, desidero in tutti i modi di coglierne la realtà. Il viaggiatore vive o fa di tutto per vivere like a local. Va alla ricerca anche di posti segreti, sconosciuti, ma caratteristici. E a volte si lascia trasportare dal caso. Prepara il viaggio ma all’occasione si perde a zonzo.
Il fatto è che quando viaggio sono felice. Mi piace vedere nuovi posti, sentirli, viverli. Il mio sogno di viaggio è vivere il più possibile i luoghi che visito. Starci. E più intensamente che da turista. Studio molto le mete dei miei viaggi. Le assaporo. Me le immagino, anche se cerco di non guardare molte fotografie. Mi piacciono le guide senza foto che lasciano spazio alla sorpresa. La preparazione del viaggio per me è già viaggiare con la mente e l’immaginazione, ma anche studio. Ecco, forse il turista colleziona mete. Il viaggiatore le vive, cercando di comprenderle.

Confesso che quando ti ho chiesto se ti sentivi più turista o viaggiatrice avevo già una distinzione in mente ed era quella data da Tiziano Terzani (giornalista, scrittore, ma anche grande viaggiatore) in una intervista del 2004. Mi auguravo che non l’avessi letta perché mi interessava molto il tuo punto di vista, la tua riflessione senza condizionamenti. Hai subito dato la tua definizione e, se ci fai caso, sei arrivata alle stesse conclusioni di Terzani. Se dovessi definire il turista in poche parole direi che è colui che tende all’omologazione mentre il viaggiatore è un esploratore e questi concetti li ritrovo nella tua risposta. Anche per questo non amo definirmi una turista ma preferisco il termine viaggiatrice e promuovo un approccio esplorativo nei miei piccoli viaggiatori. In realtà i bambini sono esploratori curiosi per natura, noi non dobbiamo far altro che assecondarli e il viaggio ci aiuta in questo percorso di crescita.


Nel tuo blog evidenzi un concetto semplice ma non scontato e, soprattutto, non chiaro a tutti, un concetto che io stessa ho da poco messo nero su bianco nell’articolo “Perchè si DEVE viaggiare coi bambini”. Tu affermi che per conoscere davvero qualcosa non basta sapere ma occorre fare un’esperienza diretta e che il viaggio diventa quindi un’occasione unica per immergersi nella storia di un popolo, di una cultura e di una città. Potresti farci degli esempi pratici basati sulla tua esperienza come insegnante e degli altri esempi basati sulla tua esperienza di mamma-viaggiatrice che ti hanno portato a trarre queste conclusioni?

Questa è una bellissima domanda. Perché mi costringe a ritornare con la mente ai viaggi che ho fatto.
Mi piace viaggiare, ma mi chiedo spesso perché. Per riposare, certo. Per lasciarsi alle spalle la routine, che comunque amo. Per vedere cose nuove, si dice. Ed è forse la ragione che più si avvicina a quella che mi spinge: conoscere. Sondare nuovi punti di vista, gustare la bellezza della natura e quella creata dall’uomo, scoprire nuovi mondi. E poi apprendere. Dal vivo.
Questo è il motivo per cui viaggiare con i figli o con gli alunni è importante. Perché il viaggio è conoscenza.
Conoscenza di un mondo diverso, di una cultura diversa. E di cose nuove. Si fanno anche nuove esperienze. Ricordo quando, quattordicenne, andai in Alto Adige e vidi per la prima volta le cime delle Dolomiti. Ma constatai anche che entrando in una “tavola calda” non si trovavano pizzette e arancini come a Catania, ma polli allo spiedo. Ricordo la puntualità degli autobus bolognesi. Ricordo la prima volta che presi da sola la metro a Milano. Non parlo quindi solo di monumenti o highlights, anche questi importantissimi. Ma proprio di bagaglio di esperienze e di ampliamento della mentalità. Non esiste solo il tuo modo di vivere, non esiste solo l’incuria o la disorganizzazione. Ci sono posti dove la cultura viene valorizzata e la cosa pubblica è ben congegnata. Per un ragazzo toccare questo con mano può essere un seme per la sua crescita futura e per il futuro della nostra terra.
Sull’aspetto più specificamente didattico traggo qualche esempio dai miei viaggi familiari. Nel 2011 abbiamo passato una settimana a Praga: l’occasione per imparare senza sforzi la storia dell’architettura, bastava solo alzare lo sguardo per fare un viaggio nel tempo. L’ho raccontato nel post Passeggiata architettonica a Praga. In viaggio si può imparare la geografia, come in Islanda, le scienze come a la Città della scienza di Napoli (poi danneggiata da un incendio), l’arte portando i bimbi anche nei musei, con i dovuti accorgimenti. In Irlanda abbiamo approfondito la preistoria, abbiamo incontrato i Celti in Austria (per poi cercarli un po’ dovunque in Europa) e Hopper a Milano.
Anche da insegnante ho sempre amato accompagnare gli alunni in gita, cercando di preparare prima le visite con lo studio in classe. Prima di partire è basilare:

  • preparare il viaggio, facendosi un’idea piuttosto chiara di cosa visitare, quando e in quanto tempo
  • coinvolgere i figli/gli alunni nella scoperta dei luoghi che si andrà a vedere, con esplorazioni mirate sul web, lavoretti preparatori, studio delle mappe, raccolta di informazioni e curiosità sui luoghi da vedere
  • visitare i siti web dei musei o dei siti storici che si vedranno, per trovare le cose più interessanti e programmare il proprio percorso (specie nei musei grandi, questo passaggio è indispensabile). I bambini e i ragazzi sono attratti dai musei di storia naturale, dal mondo egizio e in genere antico e monumentale, dai quadri molto colorati e allegri ma anche dai quadri strani.

Da dirigente mi sono inventata il “diario di bordo”, consegnato agli alunni prima di partire e compilato giorno per giorno rispondendo a semplici domande: cosa mi ha colpito di più? Quali differenze riscontro con la mia città? Cosa ho imparato di nuovo oggi?
Insomma il viaggio è occasione di conoscenza, ma questo non accade casualmente. Va preparato e curato nei dettagli.

Innanzitutto grazie di aver condiviso con me, con noi, questi bellissimi ricordi passati e recenti: i tuoi viaggi (da ragazzina, da mamma, da insegnante, da dirigente scolastico), le tue emozioni, le tue riflessioni. Perché viaggiare significa proprio questo: riflettere sulle diversità, confrontare con mente aperta, ampliare gli orizzonti. Tutto ciò ci aiuta a diventare ‘cittadini del mondo’, ad abbattere pregiudizi e schemi mentali, ad essere persone migliori. Anch’io, come mamma, ho scelto la formula del “diario di bordo” per i miei figli: per raccogliere i loro disegni, le loro parole e i loro pensieri durante il viaggio. Insomma stesso nome e stessi obiettivi. Se questo non è feeling:)

Ibiza

Disegno tratto dal ‘diario di bordo’ di Angelica. Terra rossa a Ibiza.


Tu paragoni la conoscenza ad un viaggio. Potresti spiegarci meglio questo concetto e il perché di questo paragone?

Imparare viaggiando è uno dei leitmotiv della mia vita, come un basso continuo che sostiene le melodie, le digressioni, le fughe.
Imparare viaggiando” è anche il motto di un’iniziativa che da due anni porto avanti d’estate con la mia amica blogger Valentina Cappio. Chiamiamo a raccolta gli autori di blog (e non) e ci facciamo raccontare i loro viaggi come occasioni privilegiate per imparare.
Bene, la conoscenza è come un viaggio: ci si addentra in una terra dapprima ignota e attraverso la frequentazione e l’esperienza diretta si prende via via confidenza con la novità fino a che essa diventa parte di noi stessi. Per conoscere davvero qualcosa, dicevamo, è utile sapere certo, ma è indispensabile farne esperienza. Così il viaggio è un’occasione unica di immergersi nell’esperienza di una terra, di un popolo, di una storia, di un fenomeno.
La spiegazione fa parte del fenomeno stesso, che non verrebbe colto se non fossimo guidati anche a una comprensione più profonda, ma non può essere sganciata da esso se stiamo perseguendo un vero apprendimento. Cito Dante, su cui ho fatto il dottorato, per dirlo ancora meglio:

Sol da sensato apprende

ciò che fa poscia d’intelletto degno.

Solo tramite i sensi si apprende, si afferra, si coglie ciò che poi diventa oggetto degno dell’intelletto. In quel poi (poscia) c’è una lezione di metodo:

il corpo, i sensi sono il primo contatto con la realtà, non la teoria!

Sappi che questa erudita citazione potrebbe diventare lo slogan di molti genitori viaggiatori. Quella lezione di metodo non può che trovarci concordi.


Secondo te è auspicabile e possibile il binomio viaggi-scuola e per quali ragioni? Negli anni trascorsi dentro alla scuola hai incentivato questo binomio? Se sì, in quale modo? E come hanno reagito genitori e insegnanti alle tue proposte?

Il viaggio è apprendimento in full immersion, perché è legato non a “sudate carte” da studiare, ma a un’occasione piacevole e rilassante. Viaggiare è infatti svago, ma anche un itinerario di conoscenza, l’ho ripetuto in diverse varianti anche in questa intervista.
Capita anche che un viaggio accenda la curiosità, il desiderio di approfondire la storia che sta dietro ciò che vediamo. Al ritorno si va alla ricerca di nuovi particolari con cui arricchire le proprie conoscenze. Fare un viaggio, spostandosi nello spazio, diventa l’occasione per tornare indietro nel tempo. Sostando e respirando tra le colonne di una cattedrale o tra le rovine di un castello o tra i megaliti di un sito preistorico, si coglie dal vivo lo spirito del passato, in modo diverso e più efficace che non studiando su un libro di storia. Si impara la geografia e si impara la storia dell’arte. Non potevo non promuovere la gita di istruzione, una volta diventata preside. Nel Piano dell’Offerta Formativa della mia scuola il viaggio ha un posto privilegiato e “Imparare viaggiando” è diventato un obiettivo anche della scuola che dirigo.
Vi racconto la mia prima esperienza di viaggio scolastico da preside. Portiamo le seconde medie in una meta italiana e le terze all’estero. La preparazione del viaggio presuppone attenzione e cura nella scelta dell’operatore che gestirà la gita. Si cerca di realizzare tutto nel rispetto della trasparenza e dell’equità, cercando il rapporto qualità-prezzo e la soluzione migliore adatta all’età dei piccoli viaggiatori. Un albergo per esempio ubicato in un posto tranquillo, ma animato da serate musicali e adatto ai ragazzi. Proprio come è avvenuto quest’anno a Barcellona: la scelta dell’agenzia è stata dettata dalla proposta di un albergo a Calella e non a Lloret de Mar, posto più movimentato e caotico. E ha giocato a favore anche l’aver garantito una gratuità ogni 10 partecipanti e non 15 come tutte le altre. Anche le visite vanno scelte con cura. Non bisogna esagerare con gli ingressi, ai ragazzi piace anche avere del tempo libero per gli acquisti o per passeggiare o anche solo per sentirsi un po’ indipendenti. Siamo andati al Museo Dalì, alla Sagrada Familia, ma anche all’Hard Rock Cafè e sulla Rambla.
Mi voglio soffermare sulla Sagrada Familia: la visita, preparata dagli insegnati di arte a scuola ha lasciato contenti e stupiti i ragazzi che hanno posto domande alla guida. Essi inoltre sono stati aiutati anche dall’organizzazione didattica dell’evento: la radioguida ha facilitato l’attenzione e la guida in loco era molto abituata a interloquire con gli studenti.

Tu mi rispondi con una tale dovizia di particolari e talmente tante suggestioni che mi stimoli inevitabilmente una cascata di domande. Prometto che cercherò di contenermi :). Nel leggere la cura che poni prima, durante e dopo il viaggio scolastico mi fai pensare ad una intervista che mi è capitato di leggere recentemente in cui Galimberti sosteneva che i professori dovrebbero, oltre a sapere la loro materia, essere anche in grado di comunicarla e di affascinare perché l’apprendimento (Platone docet) avviene per via erotica. Tu riesci magistralmente a far appassionare dei preadolescenti al viaggio (che, come abbiamo detto, è conoscenza) cercando di coinvolgerli emotivamente, stimolandoli già prima della partenza e scegliendo con cura meta, alloggi, guide e così via e questo non è da tutti. Stai facendo loro un grande dono.


A scuola noti una differenza tra un bambino che viaggia con la propria famiglia e uno che non viaggia? Se sì, potresti spiegarcela?

Non ho una risposta precisa a questa domanda, forse perché credo che la vera differenza non stia nel viaggiare o non viaggiare, ma in altro. Mi spiego meglio: provenendo da una famiglia numerosa, da piccola non ho fatto grandi viaggi. Prima del mio viaggio di nozze, per esempio, non ero mai stata all’estero. Ma la cultura del viaggio non è mancata nella mia famiglia: pur con poco a disposizione i miei genitori cercavano sempre di offrirci delle vacanze rilassanti e divertenti, magari con spostamenti nella mia stessa regione o poco più. Quello che fa la differenza non è cioè la quantità o la durata dei viaggi, ma la predisposizione a scoprire luoghi nuovi, a passare del tempo fuori di casa, cioè al di là delle abitudini, del già saputo. E questo è possibile paradossalmente anche senza viaggiare: lo dico alle famiglie che non possono permettersi di fare lunghe vacanze, partite in avanscoperta per i luoghi vicini, anche per la vostra stessa città; regalate libri con immagini e storie di paesi lontani ai vostri figli, sfogliateli insieme; intrattenete scambi di mail o di souvenir con ragazzi stranieri, magari tramite il mondo dei blog… darete ai vostri figli le basi per diventare dei viaggiatori.

Sì, è vero, io stessa provengo da una famiglia di non-viaggiatori e condivido il tuo ragionamento. I libri per me sono stati uno strumento prezioso e hanno certamente contribuito a gettare le basi per il mio animo da viaggiatrice-esploratrice. Tuttavia viaggiare (e ho iniziato a farlo dopo i 20 anni) mi ha regalato un’apertura mentale che difficilmente avrei avuto senza il confronto diretto con culture e realtà diverse dalla mia, mi ha donato “nuovi occhi” per guardare le cose, mi ha aiutata ad abbattere molti pregiudizi e ha innescato delle riflessioni che altrimenti non avrei fatto, riflessioni che mi hanno portata anche a mettere in discussione alcuni “valori” della società occidentale. Ogni viaggio ha lasciato in me un segno e mi ha fatta crescere ma, soprattutto, ha ampliato i miei orizzonti e rotto molti schemi. Il vero viaggio cambia qualcosa dentro di te, per sempre.
Ciò che per me è stato un lungo percorso, per un bambino è invece estremamente naturale. Lo sto notando in mia figlia. Il bimbo è una tabula rasa e ciò significa mente aperta, assenza di pre-giudizi, nessuno schema di condizionamento. Questa è una grande opportunità, l’opportunità di farlo diventare un vero cittadino del mondo. Se un bambino apprende un’altra lingua da piccolo o impara a nuotare, a sciare, a suonare e così via lo farà in modo molto più rapido, con più naturalezza e con risultati migliori rispetto ad un adulto. Alla stesso modo se impara a confrontarsi fin da piccolo con realtà diverse imparerà ad avere una visione cosmopolita e a guardare il mondo senza la mediazione delle barriere che crescendo gli imponiamo. Vi sarà un apprendimento per osmosi.
Quando un occidentale si trova davanti al Palazzo Reale di Bangkok nota subito uno stile architettonico diverso, un largo uso di colori vivaci e una miriade di altre differenze. Può capitare anche che, per quanto si sforzi, non riesca ad apprezzare appieno una tale diversità perché non ci è abituato. Il bambino non avverte invece questa differenza non avendo ancora parametri di giudizio. La diversità (architettonica, cromatica, culturale, culinaria, somatica,…) per lui è affascinante. Guardando e ascoltando mia figlia nel corso di quest’ultimo viaggio in Thailandia mi sono resa conto che lei non giudicava, era scevra da pregiudizi e da costrutti sociali (a differenza di noi adulti). Ecco perché ritengo che il viaggio fatto fin dalla tenera età possa aiutare i bambini ad essere delle persone migliori, non solo dei cittadini del mondo ma anche degli individui liberi da pregiudizi e con una sensibilità più spiccata riguardo alle diversità. Il confronto con la diversità (che da loro non viene percepita come tale) dona loro una grande ricchezza e amplia fin da subito i loro orizzonti, aiutandoli a crescere senza quei costrutti mentali e quei pregiudizi che noi cerchiamo di abbattere con grande fatica, spesso non riuscendoci. Per i bambini la diversità non esiste, se non come opportunità di confronto e di crescita personale. Io dai miei figli sto imparando tanto e vedere il mondo coi loro occhi è stato uno dei regali più belli.
Oggigiorno, soprattutto grazie alle compagnie low cost, viaggiare non è più un lusso per pochi ma una possibilità per molti. Non tutti però diventano viaggiatori, molti rimangono turisti.
Viaggio significa anche apertura verso l’ignoto. Quanti scrittori ci hanno fatto innamorare dei viaggi, sognandoli e raccontandoli nei loro libri: Stevenson, Salgari, Marco Polo,… Mi viene in mente anche un poeta a te caro (Dante) e ripenso in particolare ad Ulisse che spinse i propri compagni ad esplorare il Mediterraneo occidentale oltre le colonne d’Ercole (limite del mondo conosciuto) facendo leva sulla loro ardente curiosità di sapere, di apprendere, di capire e infiammandoli con queste parole: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza. Questo messaggio è sempre attuale e ci spinge a non fermarci, a migliorare, ad essere ricettivi ai cambiamenti e capaci di adattarci ad essi, a guardare “oltre le colonne” esortandoci all’apertura mentale e al viaggio come mezzo ideale per favorirla.


Vi sono genitori che non hanno le ferie nei periodi canonici di chiusura della scuola (penso a Liliana), altri che viaggiano molto per lavoro e colgono questa occasione per portare i loro figli con sé (penso a Francesca), altri ancora che non hanno la possibilità economica di viaggiare in alta stagione quando tutto costa di più. Questi tre esempi (ma ce ne sono molti altri) prevedono l’assenza del bambino dalla scuola (ovviamente per periodi limitati). Qual è il tuo punto di vista a tal proposito? Cosa consiglieresti a questi genitori? Dovrebbero rinunciare a questa ‘scuola di vita’ per i propri figli?

Per rispondere devo prima fare una doverosa distinzione: mentre per la primaria se ci si relaziona in modo sereno con le insegnanti non si dovrebbe incorrere in reali problemi, per la secondaria (anche quella di I grado) c’è un limite massimo di assenze, è il 25% delle ore dell’orario didattico personalizzato che ammonta a 1089 ore annue. Da questo limite si può derogare, ma per malattie gravi e certificate, eventi sportivi agonistici e particolari situazioni di disagio familiare. A questo bisogna stare attenti. Quindi se parliamo di periodi limitati e se riusciamo a far capire le nostre ragioni ai docenti, non credo ci possano essere problemi. Se poi si vuole comunque viaggiare, anche per periodi lunghi o contro il parere degli insegnanti, ci si prenderà le proprie responsabilità di genitori, per esempio prevedendo un abbassamento dei voti nella valutazione. Non trovo che sia un problema insormontabile, specie se non si tiene particolarmente al voto alto, ma l’importante è sapere a cosa si va incontro. La scuola ha delle regole e delle consuetudini che è difficile sradicare: il docente avverte una mancanza di interesse e di collaborazione da parte della famiglia che permette ai figli di assentarsi per lunghi periodi. Ciò non toglie che si possa esporre serenamente il proprio punto di vista e, se si è sicuri della capacità di recuperare dei propri figli, di prendere delle decisioni anche controcorrente. Certo, vi devo dire che non sottoporrei un bambino con difficoltà a ulteriori problemi che potrebbero derivargli dalle assenze. In questo caso rinuncerei al viaggio durante l’anno scolastico.

Non potrei essere più d’accordo. La conditio sine qua non è ovviamente che il bambino non abbia difficoltà scolastiche. Il viaggio a quel punto diventa addirittura un momento di approfondimento e arricchimento e poi, a cascata, questa ricchezza ricade su tutta la classe. In questo momento sto pensando a mia figlia che frequenta la scuola materna e che ha avuto la fortuna di incontrare nel suo cammino un’insegnante davvero speciale. Quest’anno siamo stati in Thailandia ed io le ho fatto fare un diario di bordo: poche parole e molti disegni, vista l’età. Mi ero consultata anche con la maestra, prima della partenza, mettendola a parte del mio progetto e chiedendole un parere e dei suggerimenti su come strutturare questo diario. Lei mi ha gentilmente fornito degli spunti molto interessanti. Al nostro ritorno la mia piccola ha portato a scuola il suo quaderno e l’insegnante l’ha sapientemente utilizzato in classe trasformando la ricchezza del viaggio di un singolo individuo in una ricchezza collettiva. I bambini alla fine della giornata erano entusiasti. La maestra, i giorni seguenti, ha comprato anche mango, papaia, cocco (che erano alcuni dei disegni di mia figlia) per farli assaggiare a tutti perché la stragrande maggioranza non sapeva nemmeno cosa fossero. Io credo che simili iniziative siano splendide e credo che questa insegnante abbia saputo davvero cogliere l’opportunità che le si era presentata per fare un regalo a tutti i bimbi. Ha saputo coinvolgere magistralmente la classe, facendoli riflettere su molte cose e avvalendosi anche del suo computer per mostrare alcuni dei luoghi di cui parlava mia figlia mentre raccontava ciò che aveva visto coi suoi occhi, gli occhi di una bimba di 4 anni e mezzo. Quando mostrava il suo disegno del Palazzo Reale, il cui luccichio l’aveva conquistata fin dal primo istante, diceva entusiasta: “Questa è una cosa bellissima che ho visto a Bangkok: è il palazzo reale, pieno di pietre preziose” e il suo racconto era più molto più coinvolgente di quello che potrei farei io perché i suoi uditori erano bambini affascinati dalle stesse sue cose. La Thailandia, vista coi suoi occhi, è diversa e meravigliosa, quasi magica.

DSCF1073

Tratto dal ‘diario di bordo’ di Angelica. Il Palazzo Reale visto coi suoi occhi: tante pietre preziose luccicanti.


Confrontandomi con molte mamme-viaggiatrici ho notato due atteggiamenti prevalenti: da una parte ci sono i genitori che scelgono, anche se a malincuore, di smettere di viaggiare per rispettare i vincoli scolastici ed uniformarsi ad essi, dall’altra vi sono i genitori che decidono di continuare ma poi si trovano di fronte a difficoltà di varia natura. Liliana, nel tuo blog, parla addirittura di ritorsioni, altri invece vengono semplicemente invitati a non viaggiare nel periodo scolastico nonostante l’insegnante noti che il bagaglio culturale ed esperienziale del bambino si è arricchito proprio grazie ai viaggi (il che ai genitori pare un paradosso). Tu cosa ne pensi? E quale consiglio daresti a questi genitori?

Se il viaggio è limitato nella durata e se si avverte l’insegnante specie alla scuola primaria non ci dovrebbero essere problemi. Se però il viaggio si prolunga, alcuni problemi potrebbero sorgere, in particolare alla secondaria ma anche alla primaria. In generale consiglio di parlare con i docenti, di assicurare loro che i ragazzi recupereranno al ritorno e, se si trova qualche mente illuminata, anche concordare con loro qualche compito “extramoenia”, fuori dalle mura. Nel mio blog ho parlato più volte di compiti a casa (qui potete trovare diversi spunti), suggerendo la possibilità di assegnare meno compiti e soprattutto compiti sensati. Una volta Rodari diceva agli alunni di portare tre sassi dalle passeggiate che loro avevano fatto e di raccontargli dove li avevano trovati e in quali circostanze: questo potrebbe essere un bel modo per valorizzare il viaggio come esperienza didattica. Ma le precondizioni sono due ed entrambe devono esserci: successo scolastico dell’alunno e disponibilità da parte dei docenti. Insomma alunni che non presentino difficoltà di apprendimento e docenti in grado di superare le proprie paure e i propri preconcetti.

Considerazioni che trovo giustissime e precondizioni che condivido in pieno.


Credi che alla base di un atteggiamento rigido dell’insegnante riguardo alle ‘assenze causa viaggio’ possa esserci un problema di comunicazione tra genitori-viaggiatori e insegnanti? Che siano i genitori che non riescono a trasmettere il giusto messaggio? Mi spiego meglio: credo che la difficoltà maggiore stia nel far comprendere (a tutti, non solo agli insegnanti) le motivazioni e la modalità del viaggio. Di solito l’associazione che si fa con un viaggio è ‘villaggio’, ‘miniclub’, ‘relax’, ‘grandi disponibilità economiche’,… insomma un’accezione turistica e vacanziera, non di allargamento degli orizzonti e di immersione nel contesto. Tutto questo è molto forviante per il nostro modo di intendere il viaggio che spesso diventa addirittura faticoso: fisicamente ma, soprattutto, emotivamente (penso a certe mete che ci portano al confronto con realtà molto diverse dalle nostre, realtà toccanti). Spiegare che per noi genitori-viaggiatori fai da te (spesso con zaino in spalla) fa parte di un percorso formativo ed evolutivo non è così semplice.

Hai detto in modo diverso quello che ho cercato di esprimere poco fa: far comprendere il proprio punto di vista al docente è fondamentale. Coinvolgerlo anche. Chiedendo se è possibile per lui assegnare dei compiti che possano essere svolti in vacanza, come un bel diario di viaggio o la descrizione di un luogo. Limitando le richieste magari: uno-due viaggi di una settimana non creano problemi, a mio parere. Certo, se cominciano a diventare vacanze di un mese, la cosa cambia. Ma anche qui: si parla, si ascolta e si accettano le conseguenze. Da mamma ho portato più volte mia figlia con me in viaggio anche durante l’anno, proprio alle gite scolastiche cui partecipavo da docente. Siamo state insieme con i miei alunni a Roma, in Sardegna, a Barcellona… Ho sempre avvertito i docenti e non ho mai avuto particolari difficoltà, anche perché le assenze di mia figlia, grazie a una buona salute, sono state sempre limitatissime. Invito infine a guardare anche ai propri figli e alla loro reazione: si sentono a loro agio? Sono in grado di assorbire l’allontanamento dalle lezioni? Procedono con facilità? L’esperienza del viaggio non può diventare una difficoltà per loro, sarebbe una contraddizione. Non gioverebbe a quel percorso educativo che sosteniamo di voler perseguire.
Nell’educazione c’è anche il rispetto delle regole e dei limiti che ci vengono dati. E la scuola è forse il primo forte impatto con la regola impersonale che il bambino incontra. Impersonale nel senso di generale, valida per tutti. Non è un valore anche far capire ai propri figli che la scuola comporta dei limiti cui attenersi?
Si potrà comunque viaggiare se lo si vuole, sfruttando i week-end, limitando le assenze soprattutto man mano che i figli crescono, valorizzando le escursioni nella natura del proprio territorio. Forse sono ripetitiva, ma il valore vero è l’esperienza diretta delle cose.
L’impoverimento dell’esperienza è evidente per chiunque abbia a che fare con i ragazzi di oggi: non sempre esempi che funzionano per chi scrive e in genere per chi abbia più di trent’anni risultano validi per chi oggi ha dieci anni, così come chi oggi ha sessant’anni rappresenta l’ultima propaggine di un mondo che ha vissuto nella fanciullezza un contatto diretto e costante con la natura. Ho trovato questi interessanti spunti di riflessione in un libro che vi consiglio e con il quale mi piace salutarvi, L’ultimo bambino nei boschi di Richard Louv. L’educazione oggi enfatizza la comunicazione mediata, simbolica, astratta a scapito di un contatto diretto, non solo visivo, ma anche tattile con le cose. Nelle facoltà di medicina, per esempio, dire che il cuore è una pompa non giova a far capire perché i giovani studenti raramente o mai hanno avuto un’esperienza dei principi di spostamento di liquidi, di travasi, di irrigazione: “quasi sempre apprendiamo creando, producendo e sentendo con le mani e, anche se molti credono il contrario, il mondo non è completamente accessibile mediante una tastiera”.

Bellissima questa riflessione finale a cui non voglio aggiungere altro. Grazie del consiglio di lettura e della tua disponibilità. Alla fine questa intervista si è trasformata in uno splendido dialogo che mi ha fornito molti spunti di riflessione e spero ne offrirà altrettanti a coloro che avranno la pazienza di leggerla. Il dibattito rimane aperto. Grazie Tiziana!

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4 pensieri su “INTERVISTA A TIZIANA: una voce autorevole dalla Scuola

  1. Bellissime riflessioni e infiniti spunti!
    Leggo con smisurato piacere quando le aperture arrivano dall’interno della scuola e spero che il nostro essere un po’ dei pionieri, con le nostre difficoltà, possa davvero aprire un varco e spianare un po’ la strada a chi verrà dopo. Magari proprio a chi non può, per mille motivi, prendere decisioni “un po’ a gamba tesa” davanti a certi ostruzionismi che purtroppo sono un dato di fatto e spesso la maggior parte dei casi.

    Brava Tiziana per il tuo lavoro e brava Mara per le domande mirate!

    • Sì, pure io ho molto apprezzato il blog di Tiziana e scoprire tante sue piccole-grandi iniziative è stata una piacevolissima sorpresa. La nostra scuola è fatta anche da bravi insegnanti e da persone mentalmente aperte ed è giusto dar loro voce e dar conto delle loro splendide iniziative (spesso controcorrente).
      Per quel che riguarda i viaggi in età scolare io stessa sto iniziando a pormi molte domande avendo la mia primogenita alla materna e sto cercando il confronto costruttivo per ampliare le mie riflessioni e capire quale sia la strada giusta da percorrere. Una cosa che, nella mia piccola e personalissima esperienza, ho imparato in questo primo anno scolastico è che l’apertura dell’insegnante è una condizione necessaria ma non sufficiente. A nulla servirà questa apertura se NOI non riusciremo a comunicare i nostri reali intenti e le motivazioni che ci spingono a far viaggiare i nostri figli e non è così semplice riuscire a farlo. Anche per questo credo che sia importante parlarne tra noi e rifletterci insieme affinché ognuna possa contribuire con la propria esperienza personale e magari possiamo gettare le fondamenta per una sorta di “prontuario”: un manualetto che faciliti la comunicazione tra i genitori-viaggiatori e gli insegnanti (ci sto già lavorando). Tiziana ci ha dato molti spunti utili ma, soprattutto, ci ha offerto il punto di vista della scuola che a noi mancava e che è importantissimo in un confronto sano.

  2. stupenda intervista… mi piace viaggiare lo facevo spesso prima dei twins…ora con loro mi sono limitata all’Italia…ma prossimamente (soldi permettendo) ho in mente un pò di posti da visitare….. anche a me piace preparare i viaggi..spiegare prima cosa si andrà a vedere, preparare qualche spunto cartaceo…in modo che la loro curiosità poi faccia il resto…intanto accumulo book fotografici perchè la loro faccia quando ricordano qualche viaggio mi ripaga di tutte le stanchezze e i sacrifici che si fanno per la crescita dei nostri bimbi……

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