IO, NUTRICE E NUTRITORE per amore dei miei figli

Viaggio nell’Antico Egitto

Poco tempo fa mi è stata posta di nuovo “quella” domanda ed io ho risposto come sempre, con un sorriso. Ma partiamo dalle origini di questa mia scelta. Tutto accadde per caso… o forse no? Successe molti anni fa e mi aiutò a comprendere che tipo di madre avrei voluto essere per i miei figli.
Stavo facendo una ricerca e cercavo nuovi spunti. Volume dopo volume non trovavo nulla di entusiasmante quand’ecco, all’improvviso, apparire lui, la figura che rivestì un’importanza cruciale nella mia vita: il nutritore egiziano.
Chi era costui? Cosa faceva? Perché si chiamava così? Una cascata di domande affollava la mia mente e mi travolse. Non conoscevo le risposte. Non avevo mai sentito parlare di lui ma dovevo assolutamente saperne di più. Così mi misi subito sulle sue tracce, moderna Sherlock Holmes, ma non era così facile trovare sue notizie. Di lui, del nutritore, c’erano soprattutto testimonianze iconografiche.
Quanti libri consultai… quante ore nella Biblioteca Nazionale… e quante ne avrei volute ancora trascorrere… In me nacque prepotente il rammarico di potergli dedicare solo un piccolo paragrafo del mio lavoro quando si sarebbe potuto scrivere un intero libro su questa figura che, tra l’altro, apparteneva ad una straordinaria civiltà che da sempre mi aveva affascinata. Mentre la mia ricerca procedeva sembravo un fiume in piena e non c’erano argini che riuscissero a contenere la mia foga, la mia smania di conoscenza, la volontà di entrare nel merito, di toccare temi e territori finora sconosciuti, inesplorati. Le riflessioni erano infinite come pure le connessioni, gli intrecci, gli spunti, gli approfondimenti, i collegamenti con altri argomenti e altre figure.

Ecco perché ho sempre amato fare ricerca: il piacere della scoperta, l’entusiasmo dell’indagine, la consapevolezza di non sapere unita al bisogno impellente di colmare la lacuna, di approfondire, di riflettere e la gioia di riportare alla luce cose oramai dimenticate ma che hanno fatto e continuano a far parte di noi, della nostra storia, del processo evolutivo della nostra civiltà. E poi, magicamente, più leggi, più ti addentri nel territorio che prima ti era sconosciuto e più ti rendi conto di padroneggiarlo, di essere in grado di stabilire collegamenti con altri territori, di poter addirittura immaginare le possibili evoluzioni future in quel campo. Questa è l’ebbrezza della ricerca, la magia della conoscenza, il potere della lettura. Per un attimo, ma solo per un attimo, si ha l’illusione di poter conoscere tutto lo scibile umano. Ma è troppo vasto, non basterebbe una vita intera per studiare tutto ciò che ci incuriosisce e ci affascina. Ripenso spesso a Manguel che lessi tanti anni fa e che, in Una storia della lettura, scrisse: “Potrei vivere senza scrivere ma non senza leggere”. Questa considerazione la sento mia, mi appartiene, esprime perfettamente il mio stato d’animo.

Ora però sto divagando. Torniamo a lui, all’unico vero protagonista di questa “storia”: il nutritore. Quello che mi incuriosì fin da subito fu il suo nome. Quali segreti celava questa scelta? Cosa c’era dietro le apparenze? Se ci si limita a considerare il significato più comune del verbo nutrire (fornire l’alimento necessario alla vita e allo sviluppo dell’organismo) si è inevitabilmente fuorviati e la sua opera viene sminuita. Proprio per questa ragione è utile considerarne anche l’utilizzo in senso figurato (fornire alimento spirituale) che si riferisce a motivi costanti di educazione, di sviluppo e di arricchimento intellettuale. Infatti, il nutritore egiziano – figura tipica delle classi abbienti – racchiudeva in sé entrambe queste caratteristiche: forniva alimento all’organismo (al pari della nutrice egli nutriva il neonato nei primi mesi di vita), ma anche allo spirito del bambino (si dedicava al ‘nutrimento’ della mente diventando, nell’adolescenza, maestro delle arti guerresche e di quelle oratorie, del combattere e del ‘bel parlare’). Insomma era una figura “totale” che si faceva carico della crescita del fanciullo, che lo seguiva fin dalla nascita, che forniva alimento spirituale al proprio allievo nutrendo la sua mente.
Non è affascinante che migliaia di anni fa gli antichi egizi avessero compreso l’importanza della presenza di un educatore fin dai primi giorni di vita del bambino e che, proprio per questo, affidassero il neonato alle cure di un nutritore? E ponevano un’attenzione particolare nella sua scelta: questo ruolo veniva sempre assegnato ad un nobile e, col passare degli anni del fanciullo, si intrecciava col lavoro del maestro. L’educazione veniva quindi ‘somministrata’ come fosse cibo indispensabile alla crescita dell’organismo. Anche in questo campo, dunque, gli egiziani sono stati degli antesignani. Con la nutrice e il nutritore l’educazione diventa una professione, un’attività specializzata in un determinato contesto sociale; ed erano, soprattutto il nutritore, personaggi di grande rilievo che si trovavano in special modo presso le famiglie dei potenti (in particolare dei faraoni).

Moltissimi secoli dopo anche Rousseau sottolineò l’importanza di un intervento pedagogico tempestivo sostenendo che il bambino doveva essere ‘consegnato’ ad un educatore prima ancora di nascere e rimarcando la rilevanza della scelta della nutrice, che doveva essere sana di spirito oltre che di corpo, perché essa sarà anche governante, come l’educatore sarà anche precettore.
Nell’Emilio o dell’educazione Rousseau osservava:

La nostra istruzione inizia nel momento stesso in cui iniziamo a vivere; la nostra educazione comincia con noi stessi: la nutrice è il nostro primo precettore. Ecco perché la parola educazione aveva per gli antichi un senso diverso da quello che noi le attribuiamo: significava nutrimento.

Brusotto, in uno studio sui costumi educativi medievali, evidenzia come, in quel periodo, il verbo nutrire e i corrispondenti sostantivi nutritio e nutritura avessero una gamma d’uso che si estendeva dal vocabolario dell’alimentazione a quello dell’educazione. In base alla sua ricerca il termine nutrire viene fin dal primo Medioevo – ma, come scoprii allora, quest’usanza risaliva al popolo egizio – a strutturarsi secondo gradazioni di significati che investono, sia tramite l’associazione a pratiche di fosterage (ovvero affidare i figli a persone esterne alla famiglia di appartenenza affinché ne curassero l’educazione), sia tramite l’uso di metafore e sensi figurati che riconducono al vocabolario dell’alimentazione, i modelli educativi nella loro interezza.

Mentre proseguivo le mie ricerche, mentre comprendevo appieno il significato del verbo nutrire e il suo intimo legame con l’educazione, mentre scoprivo altre figure che altro non erano se non l’evoluzione del nutritore egizio, maturava in me la consapevolezza di ciò che avrei voluto essere per i miei figli soprattutto nei primi anni della loro vita, anni cruciali per il loro sviluppo cognitivo ma anche affettivo ed emotivo. Quando, anni dopo, rimasi incinta sapevo benissimo che tipo di madre avrei voluto essere, quali figure avrei voluto incarnare, quale nutrimento avrei voluto fornire, quale dono avrei voluto fare ai miei bambini. Per questo scelsi di rivestire un ruolo doppio: sarei stata per loro nutrice e nutritore, avrei fornito cibo per il loro corpo e cibo per la loro mente. Ecco perché quando qualcuno mi pone “quella” domanda (“Non ti sembra di aver buttato via i tuoi studi?”) io sorrido.